IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la seguente ordinanza di trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale.
    Sull'appello  proposto  ex  art.  576  c.p.p. dal difensore della
parte  civile  Milanesi  Mauro  in  data 26 settembre 2006 avverso la
sentenza  30 giugno-14 luglio 2006 del Giudice di pace di Tirano, che
ha  assolto  l'imputato  Rossi Giordano dal reato di cui all'art. 594
commi 1, 3 e 4 c.p.

                           R i l e v a t o

    1.  -  Che  il  decreto  legislativo n. 274/2000 nulla prevede in
merito  alle  impugnazioni della parte civile avverso le sentenze del
giudice  di pace e che dunque occorre fare riferimento alle norme del
codice di procedura penale (art. 2, d.lgs. cit.).
    2.  -  Che  la  legge  20  febbraio  2006, n. 46 ha profondamente
modificato  la  disciplina  delle impugnazioni prevista dal codice di
rito,  tra  l'altro  abrogando  l'art. 577 c.p.p. (impugnazione della
parte  civile,  anche  agli  effetti  penali,  contro  le sentenze di
condanna   e  di  proscioglimento  per  i  reati  di  ingiuria  e  di
diffamazione)  e  modificando  l'art. 576 c.p.p., (impugnazione della
parte  civile,  ai  fini  della responsabilita' civile), in quanto e'
stato  eliminato  il  collegamento  tra tale potere di impugnazione e
quello previsto per il pubblico ministero.
    3.  -  Che,  pero',  la  legge  n. 46/2006 non ha contestualmente
previsto  una  specifica  disciplina dell'appello della parte civile,
per  il che, dalla combinata lettura degli artt. 576 e 593 c.p.p., si
ricava  che  a  tale  parte  processuale  e'  precluso ogni potere di
appello,  residuando  solo  il  ricorso  per  cassazione agli effetti
civili ex artt. 568, comma 2 e 576 c.p.p.
    4.  -  Che  non  puo' essere condiviso l'orientamento proposto da
Cass.  pen. sez.  III  11  maggio-4 luglio 2006, n. 22924, secondo il
quale  le modifiche introdotte dalla legge n. 46/2006 non hanno fatto
venire meno, in capo alla parte civile, il potere di appello, ai soli
effetti    della    responsabilita'   civile,   delle   sentenze   di
proscioglimento  secondo  quanto  previsto  dall'art.  576 cod. proc.
pen.;
    5.  -  Che,  invero,  pur  condividendo  le  argomentazioni circa
l'effettiva intenzione del legislatore nel senso indicato dalla S.C.,
non  puo'  non  rilevarsi, alla stregua dell'art. 12 delle preleggi e
del  principio di tassativita' delle impugnazioni di cui all'art. 568
commi  1  e 3 c.p.p., che il tenore letterale dell'impianto normativo
processuale  attuale  esclude  qualsivoglia  potere  di appello della
parte  civile  e  che,  d'altro  canto,  tale  potere non puo' essere
ricavato  dall'art.  576  c.p.p.,  che  riguarda  le  impugnazioni in
generale.
    6.  -  Che,  pertanto,  nell'assenza  a  tutt'oggi  di un rimedio
legislativo,  non  resta  che valutare se l'abolizione tout court del
potere   di  appello  della  parte  civile  avverso  le  sentenze  di
proscioglimento   sia   questione  non  manifestamente  infondata  di
legittimita' costituzionale.
    7. - Che numerose sono le ordinanze in tal senso di diverse corti
d'appello,  dalle  quali  si  ricava  che  l'abolizione del potere di
appello  della  parte  civile  avverso la sentenza di proscioglimento
contrasterebbe  con  i  principi costituzionali della eguaglianza dei
cittadini  davanti  alla  legge  (art.  3 Cost.), della parita' delle
parti  nel processo (art. 111 Cost.) e del diritto di azione e difesa
in giudizio (art. 24 Cost.), rilevandosi in particolare che:
        a) finche'  restera'  concesso  al  danneggiato  dal reato di
esercitare  l'azione  civile nel processo penale secondo le norme del
giudizio civile (artt. 74 c.p.p. e 185 c.p.), esso danneggiato potra'
pretendere  di  vedere  applicati,  nei  suoi  confronti,  i principi
costituzionali  di  cui  sopra  e  non  potra' essere discriminato in
maniera  irragionevole  rispetto  al  danneggiante;  pertanto,  se al
danneggiante/imputato  si  fornisce  uno  strumento di doglianza, nel
merito,  nei  confronti  della  decisione  del  primo  giudice (ossia
l'appello),  lo stesso strumento non puo' essere sottratto alla parte
civile  nel  caso  di  sua  soccombenza,  pena  la  lesione della par
condicio  processuale  e  quindi  la  violazione degli artt. 3 e 111,
secondo  comma  Cost.  Cio'  tanto  piu' se si considera che la parte
soccombente  e'  sempre  passibile  di  condanna alla rifusione delle
spese  e  che  pertanto diviene titolare di una posizione sostanziale
passiva,  che le attribuisce gli stessi diritti processuali di chi si
deve difendere dall'iniziativa altrui;
        b) l'inviolabile  diritto  di azione e difesa di cui all'art.
24  Cost.  e'  vulnerato  dalla  previsione  di  un  secondo grado di
giudizio  in  cui  l'imputato  potra'  svolgere le proprie doglianze,
mentre  alla  parte  civile  cio'  sara' precluso; invero, il diritto
difesa,  garantito ex art. 24 della Cost. anche alla parte offesa dal
reato,  deve  ritenersi  attuato  non  solo dalle sole norme connesse
all'istituto  della  costituzione di parte civile, ma anche da quelle
disciplinanti l'effettivita' della tutela delle pretese civilistiche,
pretese  invece  frustrate dalla radicale inappellabilita' risultante
dalla nuova normativa.
    8.  -  Che  la  questione sollevata e' rilevante, perche' dal suo
accoglimento   dipende   la   tutela  giurisdizionale  della  pretesa
risarcitoria della parte civile nel presente processo.
    9.   -   Che  la  norma  da  sottoporre  al  vaglio  della  Corte
costituzionale,  a parere dello scrivente, non e' tanto quella di cui
all'art.   576   c.p.p.   (che  invero  conferisce  ampio  potere  di
impugnazione  alla p.c.), quanto quella dell'art. 593 c.p.p., che non
prevedendo  la  parte  civile tra i soggetti legittimati a interporre
appello  (previsione  che  deve  essere espressa, cosi' come richiede
l'art.  568, comma 3 c.p.p.) relega al solo ricorso per cassazione il
suo potere di impugnazione.